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Le invasioni barbariche

Con la decadenza dell'impero romano, anche la zona monferrina fu teatro di scorribande da parte di popolazioni barbariche scese da settentrione e da oriente: Goti, Visigoti, Longobardi, Franchi, più tardi Ungari e infine Saraceni devastarono le campagne colonizzate nel periodo imperiale, costringendo i loro abitanti ad abbandonare le case di fondovalle per cercare rifugio in località più elevate e sicure. Nasce così la tipica conformazione del centro storico di Grazzano, raccolto nel ricetto attorno al suo castrum, poi abbazia, con una serie di porte che si potevano chiudere in caso di pericolo.
Rinvenimenti di tombe barbariche in un campo dell'avvocato Minoglio in località Santo Stefano, tra i territori di Santa Maria, Grazzano e Grana, testimoniano del passaggio in zona di queste popolazioni guerriere, meno interessate alla salvaguardia delle coltivazioni agricole che al mestiere delle armi.
Dei cosiddetti "secoli bui" resta traccia anche nella toponomastica grazzanese, con località quali Braida, Godio, Quarino, Guaito, Gueiso, Guarnero, Famergato. Due insediamenti ormai scomparsi avevano chiara denominazione germanica: Assalengo presso la Cascina San Pietro e Guango presso la chiesa di San Martino.

Aleramo fonda l'abbazia

La fortuna e la fama della Grazzano medievale iniziano con la donazione fatta dal marchese Aleramo (anno 961) di cospicui beni all'abbazia da lui stesso fondata pochi anni prima sulla sommità della collina ove presumibilmente si trovava l'antico castrum. storia.Creato marchese per intercessione della sua futura sposa Gerberga, figlia di re Berengario II, nell'agosto 961, con la moglie e i due figli Oddone e Anselmo, donava ufficialmente al monastero che - recita l'atto - «ante hos dies aedificavimus in propriis rebus nostris in loco et fundo Grazani infra castrum ipsius loci», tre curtes e dieci massaricia sparsi per buona parte del Monferrato casalese. Il monastero, affidato alle cure dei Benedettini e intitolato al Santo Salvatore, alla Madonna, a san Pietro e a santa Cristina, era sottratto alla giurisdizione del vescovo di Vercelli e sottoposto a quella della chiesa torinese: l'abate veniva eletto dai monaci e consacrato dal vescovo di Torino.
A parte le finalità spirituali dell'atto (suffragio e memoria del defunto figlio Guglielmo), Aleramo fondando l'abbazia di Grazzano cercava di espandere la sua influenza politica verso occidente oltre che verso il sud del Piemonte. Inoltre veniva a formarsi un avamposto contro le temute scorrerie dei pirati Saraceni, che in quel X secolo si sarebbero spinti fino a Ottiglio.
Indubbia era anche la funzione socio-economica del nuovo cenobio aleramico: i monaci di san Benedetto, come è noto, furono formidabili fautori della rinascita dell'agricoltura dopo la parentesi basso-medievale. Curarono il disboscamento delle colline ormai ridotte a fitte foreste, reintrodussero la coltura della vite e del frumento, la canalizzazione delle acque, procurando in ogni modo di promuovere razionalmente quell'agricoltura sconvolta dalle invasioni barbariche.
Con atto rogato 23 marzo 967, Aleramo veniva investito dall'imperatore Ottone I di un vasto territorio di 16 curtes situate tra i fiumi Tanaro e Orba e fino al Mar Ligure e decedeva poco dopo (comunque prima del 991) e secondo la tradizione era sepolto nell'abbazia di Grazzano, probabilmente sotto al porticato antistante l'antica chiesa.

I fasti dell'abbazia di Grazzano

Nell'agosto 1017 il monastero venne arricchito da una donazione del marchese Anselmo, nipote del fondatore, mentre nell'ottobre 1027 il conte Guglielmo con la moglie Aychisa gli cedeva un mulino ad acqua e altri beni e redditi. In quest'epoca l'abbazia risultava intitolata ai santi Salvatore, Vittore e Corona, questi ultimi destinati a diventare i patroni di Grazzano e il cui culto pare provenire dall'Oriente, portato in Monferrato forse dagli Aleramici.
Il potere dell'abate di Grazzano incominciò a crescere, fino ad assumere i caratteri di vera e propria signoria feudale: l'abate pro tempore difatti aveva titolo di "signore di Grazzano" ed era dotato di grande prestigio.
Al monastero grazzanese non mancò però mai il favore dei marchesi di Monferrato e dei loro protettori: la situazione non mutò quando agli Aleramici succedettero i Paleologi.
Nel 1408 i Benedettini di Grazzano aderivano alla riforma cassinese, detta anche "di Santa Giustina", con cui l'Ordine benedettino cercava di tornare a un rigore spirituale più consono alla regola del fondatore, in particolare dimostrandosi contrari all'istituto dell'abate commendatario: così facendo venivano a godere dei privilegi concessi dal papa Eugenio IV, soprattutto quello dell'indipendenza da ogni giurisdizione vescovile e la soggezione immediata alla Santa Sede.
All'inizio del XVI secolo però i Benedettini lasciarono l'abbazia, che venne affidata a un abate commendatario perpetuo.
Costui, nominato dai Gonzaga prima e dai Savoia poi, era esponente di famiglie particolarmente fedeli verso la Casa regnante, non risiedeva in paese, dove era rappresentato per la parte spirituale da un suo vicario abbaziale e per la giurisdizione civile da un vicarius o giusdicente, e incassava volentieri le ricche prebende abbaziali.

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Il Medioevo



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